Premio Strega 2019

Grande libro, in tutti i sensi, consta di 839 pagine, ma vi sono raccontati, in modo magistrale, tutti i maggiori avvenimenti che portarono al potere Mussolini e la sua dittatura fascista.

Il racconto ha inizio nel fatidico anno, il 1919, quando in tutta Europa si scontano gli errori, e tutta la morte che la guerra del 1915/1918 aveva portato nelle nazioni coinvolte.

Il filo conduttore che ci accompagna nella storia italiana, ad iniziare da quell’anno, è Benito Mussolini, come si muove in quegli anni, quello che scrive sul giornale che dirige, Il Popolo d’Italia, le ambizioni, i tradimenti dei precedenti alleati, gli intrighi politici, la miseria anche associata alla violenza del suo modo di agire con le persone che lo circondavano, una violenza che in lui non si esprimeva nell’azione violenta ma nella parola, nella sua indubbia capacità di proporsi come capo di gente, quella sì violenta, disposta e incline alla violenza fisica nei confronti di quanti considerati nemici. Poco importava se quella violenza veniva esercitata su contadini inermi, su operai socialisti, su chiunque si frapponesse loro. La violenza rappresentava il loro grido di vendetta per tutto quanto avevano perduto, o non avuto mai, era la loro ignoranza e incapacità di individuare tra i tanti che sentivano di avere, il nemico giusto da combattere. Mussolini si offriva di indirizzare, di trovare per loro il nemico sul quale esercitare rabbia repressa e violenza che durante la guerra avevano imparato a considerare come valore.

Il nemico, manco a dirlo, erano i socialisti, quelli pacifisti, non interventisti, in particolare, erano le leghe contadine, erano le amministrazioni socialiste che nelle elezioni del 1919 avevano avuto risultati incredibilmente positivi, arrivando a contare in parlamento 156 deputati. Era l’intera pianura padana “rossa”, dove per la prima volta chi lavorava la terra non propria poteva rivendicare un sistema di diritti mai riconosciuto in precedenza.

Antonio Scurati, oltre che scrittore, scopriamo sul risvolto della quarta di copertina, ha coordinato per diversi anni il Gruppo di Ricerca sui Linguaggi della Guerra e della Violenza dell’Università di Bergamo, può essere dunque considerato un esperto della violenza insita nei sistemi sociali e politici.

Da esperto riconosce come, nell’ascesa di Mussolini al potere, la violenza verbale si accompagnasse inscindibilmente alla violenza fisica esercitata giornalmente da gruppi armati inizialmente del tutto spontanei, che passano, in brevissimo tempo, ad essere piccole squadre al soldo dei proprietari terrieri e, con le vittorie elettorali dei socialisti del biennio 1919/1920, squadre armate che fiancheggiavano carabinieri ed esercito nella repressione degli scioperi e delle proteste contadine e operaie.

Una volta al potere, diventato primo ministro, Mussolini continua nel suo atteggiamento bivalente, mostrandosi alternativamente, seconda della situazione, tollerante e comprensivo nei confronti delle opposizioni o aggressivo e minaccioso, senza mai, però, prendere posizione netta contro le violenze delle squadracce fasciste, il cui coordinatore nazionale è stato sino all’omicidio Matteotti, Italo Balbo. Tollerante sì, proprio nei confronti di queste ultime,  nonostante affermi a parole, nei suoi pochi discorsi al Parlamento, di perseguire e di volere una normalizzazione del paese, con la cessazione delle violenze.

Giacomo Matteotti è l’unico, e nel racconto di Scurati appare in tutta la sua tragica grandezza, l’unico davvero a comprendere e denunciare, sino a pochi giorni prima di essere assassinato, tutte le violenze, tutti i soprusi, tutte le ingiustizie alle quali venivano sottoposti i dissidenti o semplicemente coloro che non accettavano passivamente di vedere annientata la propria dignità di esseri umani. Non erano pochi gli episodi di brutalità compiuti dalle milizie fasciste, Contro il fascismo. Un anno di dominazione fascista, è il libro che Giacomo Matteotti dà alle stampe nella primavera del 1924

Nella sua certosina elencazione delle violenze commesse dagli uomini del regime, soprusi e delitti perpetrati dagli squadristi nelle provincie mentre Mussolini, a Roma, si finge padre della patria, nessuna croce manca. Le bastonature, gli incendi, gli assassinii sono elencati uno ad uno, a decine, a centinaia, a migliaia. Accanto a ciascuno un luogo, un nome, una data, come sulle lapidi tombali.

Ma il libro cui Matteotti ha lavorato per mesi, consumandosi nella vertigine della lista, appena pubblicato è già vecchio. Le sue pagine minuziose erano appena uscite dalla tipografia quando è giunta la notizia che a Reggio Emilia era stato ammazzato il candidato socialista Antonio Piccinini, anche lui di professione tipografo. Lo avevano appeso a un gancio da macellaio.

Va così: la storia della tragedia umana è un editore famelico.

Hai appena dato alle stampe il volume completo che già ti chiede di aggiungere un nuovo capitolo sull’ultimo delitto fresco di cronaca. Ma Giacomo Matteotti non demorde. A febbraio ha pubblicato la prima edizione della sua ennesima denuncia, a marzo già lavora alla riedizione.

Giacomo Matteotti viene ucciso da una squadra composta da cinque uomini tra il 10 e l’11 giugno dello stesso anno, 1924. Questo è quanto viene raccontato, secondo le varie ricostruzioni e testimonianze, da Antonio Scurati a pag. 760:

I cinque uomini ingabbiati nell’ultimo modello della casa automobilistica di Vincenzo Lancia sanno aspettare. Le lunghe attese, prima della battaglia o dell’ora d’aria, fanno parte del loro apprendistato alla vita. I cinque uomini in agguato nella Lancia Lambda – Amerigo Dùmini, Giuseppe Viola, Albino Volpi, Augusto Malacria, Amleto Poveromo – sono tutti ex Arditi e pregiudicati per reati comuni. Sono stati tutti in trincea e sono stati tutti in galera.

Dimostra ancora una volta, questo bel libro, che la narrativa è fondamentale nel raccontare la Storia. Esso è corredato da documenti e citazioni originali, ogni nome è un nome reale, non vi è niente di inventato se non l’immaginare come e quanto ogni personaggio sia stato coinvolto dal male realizzato o dal bene perseguito,  quanto ne abbia o non ne abbia sofferto a sua volta;  è illuminante per raccordare tra loro personaggi ed eventi che spesso la Storia studiata a scuola insegna a considerare separati, o, comunque, non così intimamente collegati.

 

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